Ugolino della Gherardesca fu un comandante navale ed un politico di spicco, citato da Dante Alighieri nel Canto 33 dell’Inferno. Nacque a Pisa nel 1210 e dopo alterne fortune vi morì all’età di 79 anni.
Ugolino ebbe diverse cariche nobiliari: fu Conte di Donoratico, Patrizio di Pisa e Signore del Cagliaritano; nel 1252 divenne Vicario di Sardegna per conto del Re Enzo di Svevia e rimase per lungo tempo ai vertici della politica toscana e soprattutto pisana. Dal 1284 al 1288 fu podestà della città di Pisa. Tuttavia, poco alla volta, gli attriti con Ruggieri degli Ubaldini (arcivescovo di Pisa e capo fazione ghibellino) portarono alla sua caduta e alla seguente carcerazione.
Nell’agosto del 1288 venne rinchiuso all’interno della celebre Torre della Muda, nella quale morì per inedia pochi mesi dopo (marzo 1289). Ma la storia del Conte Ugolino è ricca di aneddoti, alcuni dei quali trovano riscontro unicamente nella tradizione letteraria dantesca.
La storia del Conte Ugolino: realtà o leggenda?
Se le notizie relative alla vita di Ugolino della Gherardesca sono confermate da numerosi documenti storici, la fine terribile del conte deve invece la sua diffusione all’opera di Dante Alighieri, che decise di collocarlo nell’Antenora, una delle aree facenti parte del nono cerchio dell’Inferno, riservata ai traditori della patria.
Nel canto 33 dell’inferno, Ugolino, completamente immerso nelle gelide acque del Cocito, viene descritto come un vendicatore dannato, impegnato a divorare in maniera brutale la testa dell’arcivescovo Ruggieri. La ricostruzione di Dante vuole che Ugolino e i suoi figli, imprigionati nella torre della Muda e consumati dal digiuno, morirono dopo una lunga agonia.
La leggenda narrata da Dante vuole anche che i figli del conte, poco prima di morire, pregarono il padre di mangiare le loro stesse carni. A quel punto, Ugolino sussurra la frase “Poscia, più che ‘l dolor poté ‘l digiuno”, espressione soggetta a una duplice interpretazione: c’è, infatti, chi pensa che il conte, allo stremo delle forze, abbia davvero mangiato i suoi figli; l’altra interpretazione, invece, vuole che Ugolino si sia lasciato morire di fame senza cibarsi dei figli. Tuttavia, fu la prima spiegazione, quella più macabra, a convincere i lettori della Divina Commedia: ecco perché Ugolino passò alla storia come il conte cannibale.
Nelle edizioni postume della Commedia, Ugolino è stato spesso rappresentato in un profondo stato di desolazione, nell’atto di mordersi le mani, come affermato da Dante nel verso 57 del canto 33: “ambo le man per lo dolor mi morsi”. Studi recenti hanno indotto i ricercatori ad interpretare in maniera opposta la vicenda del conte e dei suoi figli: Ugolino sarebbe morto dopo una settimana di digiuno.
Non esistono prove storiche sicure circa tale atto di cannibalismo, né evidenze relative a vicende simili vissute da altri prigionieri dell’epoca. Quel che è certo è che il palcoscenico di tale tragedia fu la Torre della Muda, poi ribattezzata Torre della Fame a causa degli eventi appena riportati. L’edificio sorgeva in Piazza delle Sette Vie, ora piazza dei Cavalieri di Santo Stefano, e venne inglobato nel palazzo dell’Orologio. È riconoscibile nella parte sinistra dell’edificio, dove è presente anche una lapide che ne ricorda il triste episodio.
Il racconto del conte Ugolino nel canto 33 dell’inferno di Dante Alighieri
“a bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a’ capelli
del capo ch’elli avea di retro guasto.
Poi cominciò: “Tu vuo’ ch’io rinovelli
disperato dolor che ‘l cor mi preme
già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
Ma se le mie parole esser dien seme
che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,
parlar e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu se’ né per che modo
venuto se’ qua giù; ma fiorentino
mi sembri veramente quand’io t’odo.
Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,
e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
or ti dirò perché i son tal vicino”.
Conte Ugolino: recenti analisi
Nel corso di alcune ricerche condotte nel 2002 dall’antropologo Francesco Mallegni, furono analizzati i presunti resti del conte Ugolino e dei suoi figli. Le analisi delle ossa ritrovate nella cappella funeraria privata evidenziarono la presenza di cinque soggetti appartenenti a tre diverse generazioni (il padre, due figli e due nipoti); le ricerche d’archivio effettuate sui discendenti della famiglia della Gherardesca indicarono un’elevata possibilità che i resti appartenessero ai componenti della stessa famiglia.
Pertanto, l’identificazione dei protagonisti di quella terribile esperienza è da ritenersi abbastanza sicura, nonostante nel 2008 tale teoria fu smentita con forza da Paola Benigni, Soprintendente ai Beni Archivistici della Toscana, che affermò l’impossibilità che i resti umani appartenessero al conte Ugolino e famiglia.
Alle ricerche effettuate nel 2002 prese parte una nutrita equipe di scienziati, tra cui anche un paleo dietologo, il quale confermò la scarsa credibilità delle accuse di cannibalismo: nelle costole dello scheletro del conte furono rinvenuti depositi di magnesio ma nessuna traccia di zinco, il quale sarebbe stato evidente qualora Ugolino avesse mangiato della carne nei giorni precedenti il decesso.
È sembrato piuttosto evidente, invece, lo stato di deperimento del conte e delle altre vittime: Ugolino al momento di morire era quasi completamente privo di denti ed aveva 79 anni, un’età avanzata per l’epoca. Entrambe le cose rendono ancora più improbabile un eventuale atto di cannibalismo, seppur spinto dalla fame. Infine, Francesco Mallegni sottolineò come lo scheletro del più anziano avesse il cranio danneggiato in più punti: qualora si fosse trattato del conte Ugolino, sarebbe possibile affermare che inedia e malnutrizione abbiano peggiorato le sue condizioni, ma che queste non furono le uniche cause della sua morte.
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