La storia del Manicomio di Mombello
Il Manicomio di Mombello, situato in provincia di Milano, fu costruito all’interno di Villa Pusterla-Crivelli nel 1865 a seguito dello scoppio di un’epidemia di colera. Non solo, la struttura sorse contestualmente alla necessità di realizzare un cosiddetto ospedale dei “matti” poiché il manicomio cittadino, la Senavra, subì un forte sovraffollamento che impediva ai medici e agli psichiatri di poter curare i pazienti e garantirgli una degenza dignitosa.
Infatti, in quegli anni di unificazione, la scienza psichiatrica stava facendo grandi progressi e sovvenne la necessità di creare delle strutture apposite. Nell’agosto dello stesso anno, vennero ricoverati all’interno del manicomio di Mombello i primi malati e ad ottobre si contavano 150 donne e 150 uomini ospitati in sezioni divise. All’interno della struttura, tre eccellenti psichiatri del tempo Cesare Castiglioni, Andrea Verga e Serafino Biffi, organizzarono una colonia agricola alla quale partecipavano i malati che non necessitavano di cure speciali (definite “insistenti”).
Tra il 1873 e 1878 vennero effettuati lavori di ampliamento per consentire alla struttura di ospitare un numero maggiore di degenti. Pur considerando le molteplici attività che si svolgevano all’interno del manicomio di Limbiate, l’inaugurazione ufficiale avvenne solo nel 1878. A seguito di ulteriori opere di ampliamento durante le quali si costruirono biblioteche, laboratori, gabinetti scientifici, giardini ecc…, l’ospedale psichiatrico di Mombello poté ospitare circa mille malati. Tra le diverse attività proposte dai medici, fu fondato un giornale chiamato la Gazzetta del Manicomio della Provincia di Milano in Mombello che proseguì la sua attività per 25 lunghi anni.
Come tutti i manicomi, anche quello di Mombello organizzava i reparti in base al comportamento dei soggetti e non, come ci si aspetterebbe, in base alla diagnosi. I ricoverati venivano dunque categorizzati in tranquilli, agitati, sudici e lavoratori. Solo gli ospiti cosiddetti “agitati” erano ricoverati in isolamento e non potevano, a differenza degli altri, frequentare le attività lavorative terapeutiche proposte dai medici.
Nel 1908 vennero realizzati nella pineta di Mombello quattro ulteriori padiglioni definiti aperti, poiché sprovvisti di mura. All’interno di ciascuno erano predisposti 100 posti letto.
Durante gli anni della Prima Guerra Mondiale vennero realizzati alcuni reparti separati dalla struttura centrale per ospitare i militari impazziti al fronte. Pur considerando che le sezioni potevano ospitare un massimo di 200 pazienti, durante il primo anno di attività si registrarono 635 presenze.
I 517 ricoverati definitivamente vennero sottoposti ad un trattamento psicoterapico di primo ordine. In quegli anni però, avvenne anche il fenomeno contrario e medici e infermieri vennero mandati al fronte. Tra i più noti lo psichiatra Perusi Gaetano che, collaborando con Alzheimer, portò alla luce l’omonimo morbo. Egli morì nel 1951 a San Floriano dopo lo scoppio di una bomba.
Pochi anni dopo arrivarono all’interno del manicomio di Mombello altri pazienti speciali: gli ospiti della struttura di Venezia nella quale venivano curati alcuni “matti”. Questi, che risultavano sfollati a seguito della disfatta di Caporetto, vennero inseriti nella struttura ad essi dedicata e intitolata “padiglione Veneto”. La stessa situazione si ripresentò durante la Seconda Guerra Mondiale a seguito della terribile alluvione del Polesine avvenuta nel 1951.
Gli anni del fascismo e gli ultimi anni del manicomio di Mombello
Durante gli anni del fascismo, il manicomio di Mombello fu teatro di tristi vicende. Durante il 1935, il figlio segreto del duce avuto con Ida Dalser, Benito Albino Mussolini, venne internato e morì pochi anni dopo. Questa vicenda venne catalogata come un delitto di regime e mise in luce alcune stranezze della vita manicomiale.
La vicenda è stata ulteriormente approfondita dallo scrittore Alfredo Pieroni nel libro intitolato “Il figlio segreto del duce: la storia di Benito Albino Mussolini e di sua madre, Ida Dalser”.
Il secondo Dopo Guerra vide un forte declino della struttura. Infatti, la provincia di Milano decise di prediligere la succursale di Affori intitolata allo studioso e psichiatra Paolo Pini.
La storia del manicomio di Mombello terminò, come quella di tutte le strutture psichiatriche, durante il 1978 con l’emanazione della Legge numero 180 che ne ordinò la chiusura. Tuttavia, il processo di dimissione dei pazienti terminò circa 20 anni dopo.
L’ex manicomio di Mombello oggi
Il manicomio di Mombello, ad oggi, vive uno stato di abbandono. Molti appassionati si recano in su questi luoghi per scattare fotografie e addentrarsi tra i corridoi e le stanze ormai fatiscenti di questa struttura che porta con sé storie affascinanti e spaventose.
Passeggiando al suo interno è possibile notare come vandali e writers abbiano imbrattato i muri e gli arredi danneggiando ogni parte dell’edificio.
Il manicomio abbandonato e la sua storia sono stati oggetto di molteplici ricerche e approfondimenti da parte di scrittori, psichiatri e studiosi. Il lavoro di ricerca e indagine ha portato alla stesura di saggi, testi e dissertazioni nei quali si ripercorre, anno dopo anno, la storia della struttura, dei suoi ospiti e delle vicende misteriose che hanno accompagnato gli anni di attività del manicomio.
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