La poetica di Ovidio
Ovidio (Publio Ovidio Nasone), poeta latino nato a Sulmona nel 43 a.C., fu per molti anni presso la corte dell’Imperatore Augusto, che, in seguito ad uno scandalo, lo costrinse in esilio a Tomi, una località sul Mar Nero.
Estremamente prolifico, scrisse numerose opere poetiche, tra cui “Ars Amandi”, “Amores”, “Remedia Amoris” e quello che viene considerato unanimemente come il suo capolavoro: il poema epico e mitologico denominato “Le Metamorfosi”.
La poetica di Ovidio è incentrata principalmente sull’amore collegato all’eros, concepito non tanto come passione ma come elegante intrattenimento ludico; non mancano altre tematiche, tra cui la mitologia che riveste un ruolo di primaria importanza nelle vicende narrate dal poeta.
Il suo stile si ricollega all’estrema finezza stilistica dei poeti Ellenistici, che a volte è stata criticata per l’eccessivo manierismo, ma che comunque contraddistingue la raffinatezza dei versi di Ovidio.
Nelle Metamorfosi vengono rielaborate numerose leggende e miti Greci e Latini; il tema dominante di questa opera è la trasformazione di esseri umani in oggetti inanimati (pietre, astri, sassi) oppure in animali.
Tali trasformazioni non si collegano soltanto agli aspetti fisici ma soprattutto a quelli psichici dei protagonisti, la cui emotività viene analizzata con grandi doti introspettive.
La vicenda di Piramo e Tisbe narrata da Ovidio
Nel libro IV delle Metamorfosi viene narrata la leggenda di Piramo e Tisbe, una storia emblematica sull’amore tragico poiché i due protagonisti sono due giovani innamorati che, a causa dei contrasti tra le loro famiglie, sono condannati ad una tragica sorte.
La vicenda è ambientata presso Babilonia, dove Piramo, un giovane Assiro e Tisbe, una giovane Babilonese, avevano ricevuto il divieto assoluto di incontrarsi.
Dopo essere stati rinchiusi in due stanze che fortuitamente erano separate unicamente da un muro, i due protagonisti erano comunque stati in grado di scambiarsi messaggi attraverso un’apertura del muro che divideva le loro prigioni.
Attraverso tale abitudine di scriversi, i due giovani avevano instaurato un rapporto amoroso alimentato proprio dai divieti e dall’impossibilità di vivere il loro sentimento alla luce del sole.
Sentendosi oppressi dalle costrizioni imposte dalle rispettive famiglie, e sperimentando la violenza psicologica dei divieti, Piramo e Tisbe erano arrivati alla decisione condivisa di fuggire, dopo avere aggredito i servi posti a sorveglianza delle stanze, per poi incontrarsi sotto ad un albero di gelso.
La giovane per prima aveva raggiunto il luogo del convegno con l’amato, ma nella sua attesa, era stata assalita da un leone con le fauci sporche di sangue che le aveva imbrattato la veste pur senza ferirla.
Dopo essere fuggita spaventata Tisbe aveva perduto la veste macchiata di sangue e si era allontanata dal luogo in cui stava arrivando Piramo, il quale dopo aver trovato il velo insanguinato della sua amata, si era ucciso pugnalandosi, convinto della morte di Tisbe.
Accorsa terrorizzata, Tisbe era stata in grado di ascoltare le ultime parole di Piramo che le confermavano il suo amore esprimendo il sollievo per averla vista viva.
Ma Tisbe, annientata dal dolore di avere perso l’amore della sua vita, dopo aver impugnato il pugnale, si era uccisa a sua volta, concludendo drammaticamente la vicenda.
Secondo il mito, il sangue sgorgato dai corpi straziati dei due giovani, aveva tinto di rosso le bianche bacche del gelso.
L’amore infelice di Piramo e Tisbe assume la connotazione di una vera e propria tragedia incentrata sulle tematiche dell’amore infelice perché ostacolato dalle famiglie, della fuga sfortunata, del fraintendimento fatale e della morte dei protagonisti.
L’influsso del mito di Piramo e Tisbe sulla tragedia di Romeo e Giulietta
La storia di Romeo e Giulietta scritta da Shakespeare mostra notevoli analogie con quella narrata da Ovidio, a partire dall’antefatto collegabile all’odio tra le famiglie dei due protagonisti, a proseguire con il fraintendimento della presunta morte di uno dei due, fino ad arrivare al tragico epilogo della morte condivisa.
La trama di un amore finito drammaticamente ha offerto lo spunto a numerosi autori anche antecedenti a Shakespeare, come Boccaccio che in alcune sue novelle ha narrato vicende molto analoghe.
La tragedia Shakespeariana di Romeo e Giulietta è sicuramente quella che ha risentito maggiormente di tale influsso, come si può dedurre dalle numerose analogie sia narrative che di successione degli eventi che, in molti passi, appaiono speculari.
In particolare risulta rilevante la tematica del fraintendimento, tanto cara al poeta Inglese, a cui anche Ovidio aveva dato un particolare risalto.
Nonostante alcune minime discrepanze si può comunque notare come Shakespeare abbia quasi “copiato” da Ovidio, senza curarsi in alcun modo di modificare neppure parzialmente il famoso mito di Piramo e Tisbe.
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